Milano è giovane: gli under 35 tornano a fare impresa

Milano è giovane: gli under 35 tornano a fare impresa

Buone notizie da Milano per quanto riguarda l’imprenditoria giovanile. E, ancor più positivo, il trend si allarga anche alla provincia di Mona Brianza e di Lodi. A dare i “numeri” della nuova vitalità dell’imprenditoria lombarda – come non accadeva dal 2014 –  è il 32o rapporto “Milano Produttiva” del Servizio Studi Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

Aziende nuove a +21,6%

A Milano Monza Brianza nel 2021 le imprese gestite da giovani under 35 hanno registrato, dopo una lunga fase calante, una buona performance, che ha visto incrementarsi rispetto al 2020 sia il numero delle nuove nate (+21,6%) sia quello delle imprese attive (+1,2%). E Milano si conferma capitale italiana delle start up innovative: 1 su 5 ha sede in città. Complessivamente il sistema imprenditoriale di Milano Monza Brianza Lodi registra nei primi sei mesi del 2022 una performance positiva delle iscrizioni: sono 17.129 le nuove imprese nate. A fronte delle 12.173 chiusure, il saldo tra iscrizioni e cancellazioni è stato positivo: +4.956 imprese, con il contributo determinante di Milano (+4.237). Nel primo semestre del 2021 il saldo complessivo si attestava a +5.050 unità. Anche il tasso di crescita si conferma positivo (+1,05%).
In attesa di sapere quanto inciderà sul quadro economico l’attuale situazione geopolitica internazionale, le previsioni sul valore aggiunto indicano per il 2022 una crescita pari al 2,9% per Milano, stesso dato per Monza Brianza e +1,7% per Lodi. Considerando complessivamente i tre territori, nel 2021 sono stati recuperati circa 11 miliardi e mezzo di euro di valore aggiunto rispetto agli oltre 14 persi nel 2020 (+6,6%); con un differenziale quindi rispetto alla situazione pre-Covid di -1,4%.

“Una delle aree più attive e resilienti d’Europa”

“Il sistema imprenditoriale della grande Milano, nonostante la crisi economica, la crisi geopolitica e la pandemia, sta reagendo bene e si conferma una delle aree più attive e resilienti d’Europa” ha detto Carlo Sangalli Presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. “I settori trainanti sono soprattutto l’export, il manifatturiero, i servizi e il commercio online. Di particolare rilievo la performance delle imprese giovanili che tornano a crescere dopo otto anni. Un trend molto positivo che nasce dalla capacità di innovazione e formazione del nostro territorio e dalle politiche a favore della nuova imprenditorialità messe in campo dalle istituzioni e dalla Camera di commercio. Ma soprattutto rappresenta un forte segnale di speranza per le sfide future”.

Industria lombarda: l’analisi congiunturale al primo trimestre 2022

Industria lombarda: l’analisi congiunturale al primo trimestre 2022

I dati congiunturali dell’industria relativa al primo trimestre 2022 sono positivi. Come emerge dalle elaborazioni del Servizio Studi della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, per Milano il quadro delineato nel primo trimestre 2022 evidenzia un aumento congiunturale della produzione industriale e del fatturato (+1,7% e +4,3% destagionalizzato) rispetto al quarto trimestre 2021. La crescita del fatturato lombardo è invece del +1,7% destagionalizzato. Anche per gli ordini interni la progressione congiunturale è ancora più marcata per l’industria milanese rispetto alla manifattura lombarda (rispettivamente +3,9% e +2,7% destagionalizzato). Allo stesso modo, gli ordini esteri, per cui la performance milanese risulta migliore: +5,9% e +4% destagionalizzato.

Fatturato, a Milano e in Lombardia +19,1%

Quanto all’analisi tendenziale, il primo trimestre 2022 ha consentito all’area metropolitana milanese di crescere del 9,6% in un anno per la produzione, meno del dato lombardo (+10,7%). Se si considera la crescita netta del fatturato, sempre raffrontata al primo trimestre 2021, l’aumento è del 19,1%, sia a livello regionale sia locale. In relazione al portafoglio ordini, si registra un livello superiore a quello relativo al primo trimestre 2021 (+19,1% in un anno), con performance migliore rispetto alla manifattura lombarda (+16,8%). I mercati interni milanesi hanno ripreso la crescita in modo più incisivo (+19,4%) rispetto alla componente estera (+18,5%).

Monza e Brianza, produzione +2,7% e fatturato +1,2%

Prosegue la crescita congiunturale per Monza e Brianza: il primo trimestre 2022 fa registrare un aumento rispetto al quarto trimestre 2021 sia della produzione industriale (+2,7% destagionalizzato), sia del fatturato (+1,2% destagionalizzato), così come le commesse acquisite dai mercati interni (+3,4% destagionalizzato) ed esteri (+1,1%). La crescita tendenziale della capacità produttiva colloca i volumi prodotti a un livello superiore rispetto al primo trimestre 2021 (+13,3%), e al dato lombardo (+10,7%). Nello stesso periodo, i dati della manifattura brianzola per fatturato (+18,1%) sono inferiori al dato lombardo (+19,1%). Sempre rispetto al primo trimestre 2021, il portafoglio ordini del manifatturiero brianzolo evidenzia un incremento reale inferiore a quanto registrato in Lombardia (rispettivamente +15,1% e +16,8%).

Lodi, in un anno ordini +9,5%

Nel primo trimestre 2022 prosegue anche per Lodi la crescita congiunturale. Soprattutto grazie a un aumento rispetto al quarto trimestre 2021 della produzione industriale (+0,5% destagionalizzato), accompagnato dalla crescita del fatturato (+1,9% destagionalizzato) e dalle commesse acquisite dai mercati interni (+1,5% destagionalizzato). Gli ordini esteri risultano però in calo del -1,5%. Nel primo trimestre 2022 rispetto all’anno precedente, si verifica un trend di crescita per produzione, fatturato e ordini. Relativamente all’analisi tendenziale, raffrontata al primo trimestre 2021, la crescita della produzione si attesta a +6,4%, performance peggiore rispetto al dato lombardo (+10,7%).
In relazione al fatturato, nel confronto con il primo trimestre 2021, il recupero si attesta a +13,8%, inferiore al dato regionale. E in un anno gli ordini crescono del 9,5%, rispetto al 16,8% lombardo.

Consulenti lavoro: nel 2021 crescono gli infortuni in itinere

Consulenti lavoro: nel 2021 crescono gli infortuni in itinere

L’effetto rientro in presenza nei luoghi di lavoro, con tutti gli aspetti positivi che comporta – a cominciare dalla conferma che l’emergenza sanitaria si allontana – ha avuto anche dei risvolti negativi, in particolare per quanto riguarda il numero degli incidenti in itinere. A dirlo è il dossier della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Salute e sicurezza sul lavoro dopo l’emergenza Covid” che, oltre ad attingere ai dati dell’indagine interna realizzata tra il 6 e il 12 aprile 2022, si avvale anche dei dati Inail 2019-2021. 

Aziende e lavoratori più sensibili alla sicurezza

Questo passaggio – la ripresa delle attività in presenza – ha comportato una crescita, tra 2020 e 2021, degli infortuni in itinere (+29,2%) per un incremento complessivo di oltre 18mila casi. Secondo la ricerca, il settore che ha visto crescere in modo esponenziale sia il numero di infortuni (+17,1% tra 2020 e 2021) che i casi mortali (11,4%) è quello edile, comparto che ha registrato, grazie agli incentivi, un boom occupazionale senza precedenti nel 2021, con 111mila occupati in più rispetto al 2019. Il ritorno in presenza ha prodotto, rispetto al 2020, la crescita non solo degli incidenti in itinere, ma anche delle morti correlate (15,9%). Le denunce di casi mortali sono, infatti, passate da 1.089 del 2019 a 1.221 del 2021, per un incremento di 132 casi, evento riconducibile al maggiore rischio di mortalità associato all’infortunio da Covid. La pandemia ha, dunque, lasciato segni importanti, non solo sotto il profilo delle trasformazioni dettate dallo smart working, ma, più in generale, ha fatto maturare una sensibilità diversa da parte delle aziende e dei lavoratori verso il tema della sicurezza e della salute dei lavoratori. Non meno importanti, secondo l’indagine condotta sui Consulenti del Lavoro, i cambiamenti legati all’orientamento e all’approccio anche in termini di comunicazione. Cresce per il 46,1% l’orientamento verso la prevenzione e, complessivamente, il livello di sicurezza nei luoghi di lavoro: dato più alto rispetto a due anni fa secondo il 46,9%. A fronte di tale cambiamento “culturale”, si evidenzia una maggiore difficoltà a tradurlo in misure operative: solo il 37,6% dei Consulenti segnala un miglioramento delle iniziative formative a favore dei dipendenti. 

“La cultura della sicurezza”

“La sicurezza dei luoghi di lavoro è un tema centrale per i Consulenti del Lavoro – afferma Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi -. I seminari che realizziamo con la Scuola di Alta Formazione coinvolgono molte migliaia di nostri iscritti. Sono oltre 10 milioni le imprese, i lavoratori autonomi e subordinati assistiti. E la cultura della sicurezza si crea diffondendo e ampliando la conoscenza delle norme e delle regole, anche se sarebbe importante semplificare alcuni adempimenti previsti anche per le piccole e micro aziende”.

Lombardia, nel 2021 sale il numero di occupati: +2,8%

Lombardia, nel 2021 sale il numero di occupati: +2,8%

Si tinge di rosa, per fortuna, lo scenario del mercato del lavoro in Lombardia. Nel quarto trimestre 2021 il numero di occupati in Lombardia, secondo le stime Istat, è pari a 4 milioni e 418 mila individui, un numero in crescita su base annua (+120 mila unità, pari al +2,8%) ma ancora inferiore ai livelli del 2019 (-42 mila, pari al -0,9%). Si tratta del terzo incremento trimestrale positivo, che certifica la fase di crescita registrata dall’occupazione lombarda a partire dal secondo trimestre del 2021, dopo un anno di segni negativi dovuti agli effetti della crisi innescata dalla pandemia. I dati Istat sono ancora parziali, ma comunque regalano uno spaccato veritiero di quelle che sono le dinamiche occupazionali. In particolare, dalle analisi si evince che aumenta in particolare modo la componente femminile, con incrementi decisi che riportano i dati ai valori del 2019, e anche i livelli di disoccupazione appaiono finalmente in decrescita. Certo, si tratta di numeri ancora inferiori rispetto a quelli precisi, ma fanno in ogni caso ben sperare per il prossimo futuro.

Cresce la componente femminile

Il tasso di occupazione si attesta al 67,8 (era 68,5 nel quarto trimestre 2019), con la componente femminile che ha già superato i valori pre-crisi, mentre quella maschile risulta ancora inferiore di circa due punti: si riduce quindi il gap di genere, passando da 16,2 a 13,2 punti. Il tasso di disoccupazione scende al 5,4, in calo rispetto ai valori dei due anni precedenti, mentre quello di attività si attesta al 71,7: la partecipazione al mercato del lavoro lombardo si conferma in crescita negli ultimi trimestri, ma con un divario ancora consistente rispetto ai livelli pre-crisi (1,2 punti). Prosegue il processo di riassorbimento della Cassa Integrazione: nel 2021 le ore autorizzate diminuiscono del -41,6%, pur rimanendo su valori storicamente elevati.

Una regione dagli “alti livelli occupazionali”

“La Lombardia si conferma una regione caratterizzata da alti livelli occupazionali, con un tasso superiore alla media nazionale di oltre otto punti” ha dichiarato a commento dei dati  Gian Domenico Auricchio, Presidente di Unioncamere Lombardia “a differenza di quanto accaduto in Italia, però, nella nostra regione non sono ancora stati raggiunti i valori pre-crisi. Ora si tratta di recuperare pienamente la partecipazione al mercato del lavoro supportando imprese e istituti formativi per un incontro efficace tra domanda e offerta di lavoro”.

Cambia il colloquio di lavoro, ora si chiede: cosa hai fatto nel lockdown?

Cambia il colloquio di lavoro, ora si chiede: cosa hai fatto nel lockdown?

“Chi è alla ricerca di un lavoro, e che dopo aver inviato il proprio curriculum vitae in risposta a un annuncio viene contattato per un colloquio, non dovrebbe farsi prendere alla sprovvista da una domanda del tipo ‘come ha vissuto i mesi di lockdown?’ – spiega Carola Adami, fondatrice della società Adami & Associati -. o magari da un quesito più complesso, come: cosa ha fatto durante la pandemia per migliorare la sua situazione professionale o personale?”. Ma a contare nelle risposte a queste domande non è quasi mai il contenuto in sé, quanto il modo in cui si risponde. In ogni caso, la crisi sanitaria ha profondamente cambiato il mondo del lavoro, così come quello della sua ricerca e del successivo reclutamento.

A nessuno viene chiesto di affrontare in modo perfetto una pandemia

A nessuno viene chiesto di affrontare in modo perfetto una pandemia del tutto inaspettata, per la quale non una sola persona era effettivamente preparata. Le risposte possibili alle possibili domande legate all’attività svolta durante la pandemia e i lockdown sono tantissime. Da quelle di chi spiega di aver imparato una nuova lingua a quelle di chi ha coltivato un orto dietro casa, fino a quelle di chi si è dato da fare per mantenere vivo il rapporto con i colleghi.
“L’importante – sottolinea Adami – è essere sinceri, mostrando il proprio personale modo messo in campo per reagire a questa situazione del tutto eccezionale”.

I quesiti posti dai candidati

Va sottolineato che nei colloqui di lavoro post-Covid, riporta Ansa, a poter essere presi di sorpresa da domande inedite potrebbero essere anche gli stessi intervistatori. I candidati potrebbero infatti porre quesiti volti a capire nel dettaglio come si potrebbe svolgere il lavoro da remoto, chiedendo, ad esempio, se in caso di smart working sarà comunque garantita la sufficiente formazione ai nuovi assunti.
Partecipare a un colloquio di lavoro in questo periodo, quindi, potrebbe essere sensibilmente diverso da quanto ci si potrebbe aspettare, da una parte e dall’altra del tavolo. Sperando che l’impressione su chi deve dire ‘sì’ sia positiva.

L’attenzione alla formazione e alla crescita continua è alta tra i più giovani

“L’attenzione alla formazione e alla crescita continua, soprattutto tra i più giovani, è altissima – mette in evidenza l’head hunter – ed è quindi fondamentale essere pronti a rispondere a domande di questo tipo. Altri candidati, dopo essersi informati online sull’azienda, potrebbero inoltre chiedere come sono cambiate le priorità strategiche dell’azienda con la pandemia, e in che modo il neo-assunto dovrebbe dare il proprio contributo per raggiungere i nuovi obiettivi”.

Lombardia, il mercato del lavoro si rimette in moto

Lombardia, il mercato del lavoro si rimette in moto

Il mercato del lavoro in Lombardia si è rimesso in moto. A dirlo sono sia i dati Istat relativi al terzo trimestre 2021, che evidenziano la crescita del numero di occupati sia in Italia (+2,2% su base annua) che al Nord (+2,1%), sia i numeri di Unioncamere Lombardia. Per quanto riguarda la Regione, specifica il rapporto di Unioncamere, le informazioni sui flussi in entrata e in uscita dal mercato del lavoro, provenienti dalle Comunicazioni Obbligatorie, evidenziano nel terzo trimestre 2021 un saldo positivo di circa 25 mila posizioni tra contratti avviati (446 mila) e cessati (421 mila). Si tratta di un dato in lieve ridimensionamento rispetto all’anno scorso, per via della maggiore crescita delle cessazioni (+25,7%) rispetto agli avviamenti (+21,5%); va però ricordato che nel 2020 gli avviamenti – e soprattutto le cessazioni – erano fortemente ridotti per effetto dell’emergenza sanitaria e dei provvedimenti nazionali a difesa dell’occupazione (cassa integrazione, divieto di licenziamento, ecc.). Calano pure le ore autorizzate di Cassa Integrazione, dopo il picco del 2020: il calo su base annua è pari al -55,7%, anche se i valori assoluti sono ancora elevati rispetto alla serie storica precedente.

Migliora il saldo nel terzo trimestre

Più rosea la situazione nel confronto fra il terzo trimestre 2021 e quello del 2019: la variazione di avviamenti e cessazioni, positiva in entrambi i casi, appare infatti più marcata per i primi (rispettivamente +8,4% e +5,2%). Sono soprattutto i contratti a termine a determinare questo saldo positivo: sono infatti cresciuti di 31mila unità, mentre quelli a tempo indeterminato registrano un calo di 8mila unità.

Commercio e servizi i settori più dinamici

Per quanto concerne i comparti, i più attivi sul fronte delle nuove assunzioni sembrano essere Commercio e Servizi: questi hanno generato infatti più 26mila posti di lavoro, pari al 75% degli avviamenti. Tuttavia il saldo risulta positivo anche negli altri settori con la sola eccezione dell’industria (-3 mila). Il confronto con il 2019 vede un miglioramento del saldo in tutti i comparti, tranne che per l’agricoltura; gli avviamenti risultano in sensibile crescita, in particolare nelle costruzioni (+22,2%).

Cali fisiologici nelle cessazioni

“La ripresa del mercato del lavoro lombardo non si ferma e in alcuni certi settori, come l’edilizia, appare particolarmente intensa. I dati del terzo trimestre 2021 evidenziano anche un incremento fisiologico delle cessazioni rispetto ai livelli eccezionalmente bassi dell’anno scorso, quando erano in vigore i provvedimenti di salvaguardia nazionali” dichiara Gian Domenico Auricchio, Presidente di Unioncamere Lombardia.

Imprese agricole lombarde: costi di produzione in salita, ma anche il fatturato

Imprese agricole lombarde: costi di produzione in salita, ma anche il fatturato

Nei primi sei mesi del 2021 il comparto agricolo lombardo risente ancora degli effetti della pandemia sui settori che contribuiscono indirettamente alla creazione del valore aggiunto agroalimentare, come ristorazione, ricezione, intrattenimento, e istruzione. A questo si aggiungono la crescita dei costi di produzione e le difficoltà di approvvigionamento di macchinari e pezzi di ricambio, che colpiscono in maniera trasversale tutti i comparti. Se i rincari di energia e petrolio si ripercuotono anche su fertilizzanti e fitofarmaci, gli effetti più gravi riguardano la zootecnia, che rappresenta il cuore dell’agricoltura lombarda, per via del rally senza precedenti delle quotazioni dei cereali e degli altri alimenti che compongono la razione animale.Nonostante le difficoltà, il settore conferma la sua capacità di resilienza e gli indicatori di fatturato e redditività mostrano un lieve progresso rispetto alla seconda metà del 2020, anche per via del buon andamento delle quotazioni dei principali prodotti.

Export agroalimentare in ripartenza

Si tratta di alcuni risultati dell’analisi congiunturale del primo semestre 2021 per il settore agricolo lombardo realizzata da Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia, con il supporto del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano.
Secondo lo studio, l’export agroalimentare mostra una decisa ripartenza, raggiungendo nei primi 6 mesi del 2021 un tasso di crescita a due cifre dopo lo stallo dell’anno precedente.
“Lo stato di salute dell’agricoltura lombarda è solido: lo confermano sia i consumi interni sia l’export – dichiara il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio -, a testimonianza di quanto sia importante avere una base forte e diversificata di imprese e produttori”.

Dinamiche settoriali differenziate: lattiero-caseario e carni suine 

Il risultato complessivo dell’agricoltura regionale è il risultato di dinamiche settoriali differenziate. Il lattiero-caseario, ad esempio, beneficia del buon andamento della domanda mondiale, e dei prezzi delle principali produzioni che si mantengono sopra i livelli dello scorso anno. Il rincaro dei mangimi non consente però di sfruttare appieno le condizioni favorevoli del mercato. Anche le quotazioni delle carni suine mostrano un andamento positivo, sia nel circuito DOP sia non DOP, ma anche in questo caso la redditività risulta compressa dall’impennata dei costi produttivi.

Carni bovine, cereali e vino
Le carni bovine evidenziano i risultati peggiori nel comparto zootecnico, senza riuscire a recuperare rispetto alla situazione difficile del 2020. La lieve crescita delle quotazioni e la stabilità dei consumi non permettono infatti di compensare i maggiori costi per l’alimentazione animale. I cereali, al contrario, rappresentano il settore in maggiore salute per via dei record raggiunti dai prezzi di mais e frumento, che dovrebbero rimanere elevati anche nei prossimi mesi permettendo di assorbire senza problemi i rincari degli input produttivi. Il vino, poi, continua a soffrire le limitazioni del canale Ho.Re.Ca, sebbene le valutazioni siano in miglioramento rispetto a un 2020 estremamente negativo, anche grazie alla diversificazione dei canali distributivi. In questo caso, i prezzi mostrano alcuni segnali di ripresa, che però non si sono estesi a tutte le denominazioni.

In Europa manca più di 1 milione di professionisti It

In Europa manca più di 1 milione di professionisti It

L’accelerazione impressa alla digitalizzazione dalla pandemia rende difficile il reperimento di profili indispensabili allo sviluppo digitale, tanto che in Europa sono più di 1 milione i posti di lavoro vacanti nel settore tech. Un’altra criticità è che le aziende “per mettersi in contatto con questi profili hanno bisogno di parlare la loro stessa lingua – spiega all’Adnkronos/Labitalia Nelly Bonfiglio, Cco di Codemotion – quindi la grande sfida e la grande difficoltà che oggi riscontriamo è quella di ripensare totalmente il processo di hiring e selezione dei professionisti”.

Le aziende devono essere attrattive

Insomma, non è più l’azienda che cerca il developer, ma il developer che cerca l’azienda migliore dove lavorare. Non a caso una ricerca evidenzia come per il 61% degli Hr assumere un professionista It sia diventata una sfida. Per avere successo nel reperimento di un ottimo professionista, occorre centrare tre obiettivi. “Innanzitutto occorre essere capaci di raccontare le best practices, le cose migliori tra quello che fa l’azienda. Poi bisogna sapere trasmettere la cultura e i valori aziendali – aggiunge Bonfiglio -. E infine bisogna offrire salari competitivi”. Insomma, l’Hr deve lavorare per rendere “sempre più noti la cultura e i valori aziendali, mentre il dipartimento tech può affrontare i processi di selezione in modo puntuale – spiega Bonfiglio -. Per questo nascono sempre più Tech Hr recruiter che si occupano proprio della selezione”.

Le Pmi non sono le più svantaggiate

Contrariamente a quanto si può pensare, nel processo di digitalizzazione le Pmi non sono le più svantaggiate. “Le piccole aziende sono molto più aperte nel cercare le risorse all’esterno – racconta la Cco – Inoltre continuano a nascere molte start up e scale up, e anche in questo caso notiamo movimenti virtuosi: queste nuove realtà hanno un occhio più fresco e sono più flessibili nel farsi guidare”.
In ogni caso, se infrastrutture e competenze sono gli asset fondamentali per lo sviluppo della digitalizzazione, “c’è la sfida della Pa, in tutti i tanti settori di cui si occupa – commenta la manager – basti pensare che solo l’1% della superficie nazionale viene curata con tecnologie smart”.

Colmare il gap di competenze digitali italiane

Non si tratta però soltanto di digitalizzare l’offerta, e “non basta un sito o un team tecnico a portare l’azienda a pensare in digitale. Ma è una trasformazione un po’ generale della cultura e dei valori – spiega ancora la Cco di Codemotion aggiunge -. Per questo bisogna fare in modo che tutti i dipartimenti aziendali abbiamo un set minimo di competenze digitali con cui poter affrontare il cambiamento”. Ma un altro tema è proprio quello di digitalizzare il core business di ogni singola azienda.

Il ruolo delle donne Stem nelle organizzazioni

Il ruolo delle donne Stem nelle organizzazioni

Quali sono le motivazioni e le aspettative delle ragazze che intraprendono studi e carriere Stem? A questa e ad altre domande risponde #ValoreD4STEM, l’indagine promossa da Valore D che ha restituendo una fotografia della presenza delle donne Stem nelle organizzazioni. L’88,2% delle intervistate è laureata, prevalentemente in ingegneria, mentre alcune di loro hanno conseguito ulteriori titoli, come master, dottorato di ricerca o hanno frequentato una scuola di specializzazione post-laurea. Solo il 38% però ricopre una posizione manageriale, la maggior parte riveste un ruolo impiegatizio (57,8%) e non gestisce né un team né un budget (59,6%). Inoltre, il 66% è impegnata in una relazione, ma oltre la metà non ha figli.

Un mondo non estraneo a pregiudizi o stereotipi

Anche il mondo delle donne Stem non è estraneo a pregiudizi o stereotipi. Nonostante il campione sia femminile, emerge una chiara preferenza a lavorare con gli uomini rispetto che con le donne, preferenza espressa dal 4% del campione. Anche in termini di leadership emergono alcuni stereotipi: il 27% dichiara che alle donne si addice uno stile di leadership empatico e accogliente, e quasi il 16% afferma che a un uomo si addica più uno stile deciso e assertivo. Sul work-life balance emerge un altro stereotipo di genere: il 19,2% ritiene che per gli uomini non sia importante ricoprire un ruolo che consenta un equilibrio tra vita professionale e famiglia.

Un interesse che nasce a scuola

L’interesse per le materie Stem nasce già durante la scuola elementare, tuttavia oltre il 70% delle donne con un titolo di studio scientifico-tecnologico ha maturato la consapevolezza di volersi dedicare a queste discipline durante la scuola media e soprattutto alle scuole superiori. La scuola gioca quindi un ruolo molto importante nella scelta di intraprendere un percorso di studi di questo tipo, e l’84% delle intervistate ha iniziato da subito un percorso lavorativo in questo ambito. La prospettiva di una buona remunerazione non è però tra le prime tre motivazioni per cui le donne scelgono una professione di questo ambito (7%), mentre lo sono istruzione e formazione (73,5%), attitudine (43,3%), passione (35,3%), prospettive di carriera (21,3%) e desiderio di contribuire alla soluzione dei problemi della società (15,8%).

Soddisfazione e ostacoli

Confrontando le donne con ruolo Stem con le donne che non lo ricoprono le prime sono più soddisfatte della loro scelta professionale (50,4% contro 38,5%). Circa un 20% però attualmente non ricopre un ruolo, anche se il background formativo o professionale è in ambito Stem. Ma come mai queste donne non lavorano più in ambito Stem? Per il desiderio di fare esperienze diverse (35,9%), un percorso di carriera in un altro dipartimento (35%) o un percorso di crescita manageriale (27,8%), altre però hanno indicato la “non possibilità di crescita” (21,5%), la necessità di trovare un ambiente più inclusivo (6,1%), la fatica di lavorare in un contesto culturale tradizionalmente maschile (5,6%) e la forte competitività (2,2%).

Smartworking in Ue, è davvero rivoluzione? In Italia è passato al 12,2%, in Finlandia al 25%

Smartworking in Ue, è davvero rivoluzione? In Italia è passato al 12,2%, in Finlandia al 25%

Il 2020 e almeno gran parte del 2021 verranno ricordati come gli anni dell’avvento massiccio dello smartworking, indotto dall’emergenza sanitaria e dalla necessità di mantenere il distanziamento sociale. Ma è davvero così? Ovvero, come sono cambiate negli ultimi mesi le percentuali di chi lavora da casa rispetto a chi si reca in ufficio o in azienda? Per avere la misura di quanto sia effettivamente aumentata la quota di chi opera da remoto, l’Eurostat – l’Istituto di Statistica Europeo – ha condotto un’analisi che ha coinvolto tutti i Paesi dell’Ue.

Più del doppio in smartworking in un anno

Nel 2020, il 12,3% degli occupati di età compresa tra 15 e 64 anni nell’Ue ha lavorato da casa, sebbene questa quota fosse rimasta costante intorno al 5% negli ultimi dieci anni. È la principale evidenza emersa dai dati dell’Eurostat. Se questa è la media europea, come sono andate le cose nel nostro Paese? In Italia, la percentuale di chi ha operato da remoto è salita al 12,2%. Negli anni precedenti, la quota di lavoratori autonomi che lavorava abitualmente da casa era stata costantemente superiore a quella di dipendenti. Tuttavia, il divario si è ridotto nel 2020 poiché la quota dei dipendenti in smart working è aumentata dal 3,2% nel 2019 al 10,8%, mentre la quota dei lavoratori autonomi è aumentata in misura minore: dal 19,4% nel 2019 al 22% nel 2020.

Differenze fra uomini e donne

Ci sono poi delle differenze sostanziali a seconda del genere e dell’età dei lavoratori. Si scopre così che nel 2020, una quota maggiore di donne (13,2%) ha riferito di lavorare abitualmente da casa rispetto agli uomini (11,5%). Rispetto ad altre fasce di età, nel 2020 i giovani avevano meno probabilità di lavorare da casa: solo il 6,3% di quelli di età compresa tra 15 e 24 anni, rispetto al 13% di quelli di età compresa tra 25-49 e il 12,4% di quelli di età compresa tra 50 e 64 anni.

E’ la Finlandia il Paese in cui si lavora di più da casa

Un altro dato interessante è quello che stila la classifica dei Paesi in cui lo smartworking è maggiormente praticato. In testa alla lista si piazza la Finlandia, che con il 25,1% dei lavoratori da remoto guida l’elenco degli Stati membri dell’Ue per l’home working. A seguire si collocano Lussemburgo (23,1%) e Irlanda (21,5%). Dall’altra parte della classifica, le nazioni con la percentuale minore di penetrazione dello smartworking sono la Bulgaria (1,2%), Romania (2,5%), Croazia (3,1%) e Ungheria (3,6%).